Testo di Guido Signorini (Direttore MUSAP - Lendinara) "Viaggio a Roma. Basterebbe questa definizione per mettere in difficoltà chiunque si trovi davanti a quello che, desiderio omologato di qualsiasi essere vivente, definisce quell'immenso contenitore che la Storia ha messo a disposizione. Che la città eterna venga approcciata attraverso la letteratura o l'arte visiva in generale, poco importa. L'artista che le si accosta lo fa con timore, con rispetto sacrale, con sfrontatezza, soprattutto con amore. Gli esempi sono molteplici: da William Turner, con i suoi giochi di luce, al simbolismo di Arnold Bocklin. Dai dagherrotipi di Eugène Constant a l'inimitabile paesaggio di Gabriele Basilico. Dalle stampe del Piranesi a quelle di Luigi Rossini. Ma oggi, ad inizio di un ventunesimo secolo che si diverte a sfregiare ciò che viene rappresentato o, peggio ancora, a manipolare l'opera nel nome di un'avanguardia inesistente, cosa propone l'artista su una città come Roma, simile ad altre metropoli ma ricca di quei geni di un'antichità unica e indissolubile? Potrebbe essere una domanda dall'impossibile risposta o, se formulata, assumere l'aspetto di un' improbabile utopia? Direi proprio di no.
Osservando la serie di puntesecche che Daniela Savini ha ricavato dal suo personale "Viaggio a Roma", possiamo notare come l'intenzione estetica di rappresentare alcune vedute della città, accomuni al concetto del bello ideale di Winckelmann, una sintesi di umano e divino che può derivare dal controllo della passione e dei sensi. Ecco allora che le puntesecche della Savini assumono oltre che una precisa e curata veste iconografica, una struttura iconologica che esprime al meglio la simbiosi tra contenuto e forma. Per fare qualche esempio potremmo citare alcune incisioni che valorizzano tale affermazione. ..."