L’ARCHIVIO INCISO

Guido Signorini

E’ alquanto singolare che partendo da un progetto finalizzato a far conoscere l’archivio esternamente come edificio e internamente come struttura, contenitore di documenti, lo stesso divenga oggetto, contemporaneamente, di un’esposizione e di un libro d’artista.

Il viaggio virtuale di Daniela Savini, evidenziato da una serie di incisioni a Puntasecca che formano “L’Archivio Inciso”, ci trasporta all’interno di una serie di lavori dove sensazioni ed emozioni si fondono giostrando attorno a quella che è la concezione tecnica e storica dell’archivistica, fino a esternarla attraverso una visibilità iconica che evidenzia una serie di immagini incise dove la luce, protagonista in primis, si fonde con il segno, traccia testimoniale di memorie scavate nel tempo.

Ecco che allora l’inizio del viaggio, rappresentato in uno splendido foglio verticalizzato in cui l’edificio è evidenziato tramite una visione grandangolare, dove la scritta “Archivio di Stato” ci accoglie al di sopra di una solida porta di legno, ci conduce fantasiosamente alla curiosità di scoprire il passato attraverso documenti e immagini, in un presente colmo d’interrogativi.

E se c’imbattiamo in un’anonima figura di donna, indaffarata a deporre alcuni faldoni su scaffali alti e polverosi, la stessa si fonde, come in stato di grazia, tra l’architettura cartacea e la luce sfumata che entra dalla finestra in fondo alla stanza.

Le porte di un armadio aperto, ci portano confidenzialmente a sfiorare le carte sugli scaffali sovrastanti.

La luce è protagonista in tutte le lastre incise dalla Savini. Amoreggia con il buio e la polvere, veste secoli di storia e accarezza file di documenti collocati in parata come giovani ufficiali, riflettendo su pavimenti e finestre angolari, creando scorci d’interno che ci riportano allo splendore di Veermer.

In alcuni fogli, il particolare diventa esplicativo dell’insieme. Si può trovare in esso lo stropicciamento della carta, l’individuazione delle lettere. I fogli fascicolati sono lì che sembrano scrutare il pavimento dall’alto, un pavimento zoomato che coglie il delicato segno delle acqueforti di Morandi.

In un’altra puntasecca, una finestra rappresentata in primo piano, sembra far parte essa stessa dell’archivio. Oltre troviamo la reticella di protezione, le grate, la luce che impavida tenta di entrare con la sua testimonianza.

E poi le grandi visioni d’insieme dove giganteschi scaffali ammiccano perpendicolarmente a tavoli spogli. Qualche lampada, alcuni fogli sparsi, la solita luce che discreta assorbe la stanza.

Ci troviamo di fronte ad un progetto straordinario, sicuramente in divenire data la mole del materiale. Un lavoro eseguito con taglio innovativo, esteticamente pregevole, meticoloso e ricco di quella storicità visiva occorrente per calarsi all’interno di una realtà millenaria. Una testimonianza, quella di Daniela Savini, destinata a potenziare a sua volta quella che è la realtà archivistica del nostro paese, a volte trascurata per incuria o mancanza di fondi, ma sempre affascinante e colma di meravigliose incognite.