Elaborazione poetica dell’opera di Savini Daniela.
di D. Savini
L’incontro con l’opera e la poetica di Cesare Pavese ed in particolare con i "Dialoghi con Leucò" mi ha permesso di sbrogliare meglio il mio pensiero e poter mettere per iscritto i tormenti i soggetti e le immagini che voglio rappresentare sul supporto artistico, che sicuramente non hanno niente a che vedere con il mercato od i nuovi filoni artistici seppur ci siano tendenze arcaistiche o di neorealismo.
Come nei Dialoghi- che è essenzialmente una raccolta di dialoghi con se stesso intorno a se stesso, e di indagini sulla materia più attinente alla sua intima esperienza, mediate però dall’apporto culturale e dal sottile filtro speculativo del tempo mitico, dell’inconscio- così nella mia opera pittorica si tende a fare centro solo su di me-artista, esprimendo nei modi dell’espressione un cauto ma tenace disappunto rispetto a realtà troppo vincolanti e opprimenti.
L’incontro con l’opera e la poetica di Cesare Pavese ed in particolare con i "Dialoghi con Leucò" mi ha permesso di sbrogliare meglio il mio pensiero e poter mettere per iscritto i tormenti i soggetti e le immagini che voglio rappresentare sul supporto artistico, che sicuramente non hanno niente a che vedere con il mercato od i nuovi filoni artistici seppur ci siano tendenze arcaistiche o di neorealismo.
Come nei Dialoghi- che è essenzialmente una raccolta di dialoghi con se stesso intorno a se stesso, e di indagini sulla materia più attinente alla sua intima esperienza, mediate però dall’apporto culturale e dal sottile filtro speculativo del tempo mitico, dell’inconscio- così nella mia opera pittorica si tende a fare centro solo su di me-artista, esprimendo nei modi dell’espressione un cauto ma tenace disappunto rispetto a realtà troppo vincolanti e opprimenti.
L’esito è il tentativo di interrogare e sviscerare quanto c'è(ra) nell'animo di più inquieto e forte: le radici, i ricordi, il pensiero, la vita e la morte.
Si potrebbe considerare l’insieme od il complesso di opere come la trascrizione in forma pittorica dei più rustici miti che albergano nel profondo del cuore: almeno del cuore di Savini.
Ne esce fuori uno scenario costituito da paesaggi e orizzonti infiniti senza tempo e spazio, reali e non reali, desolati e non, privi di vita umana –trasformata in alberi o sparuti fiori nati qua e là, alberi dalle fronde taglienti e irte spinte verso l’alto a 360° oltre l’innaturale misura, metafore dell’esistenza ed ancor di più dell’uomo stesso che vuole liberarsi dal sostrato e mettere radici nel cielo libero e infinito quale lo spazio, liberarsi dalla storia, dalle magre ipocrisie e ignoranze quotidiane create dall’uomo stesso o meglio da pochi uomini per dominare governare sul tutto, sulla massa facile a sottomettersi in nome di una falsa tranquillità desiderata e mai raggiungibile.
Dalla serie di immagini né uscirà un volto scavato dagli occhi fissi verso lo spettatore, angosciati e angoscianti, a volte senza occhi uccisi, feriti, annullati dal peso dell’esistenza, a volte rovesciati segno di un forte malessere quasi malattia fisica più che mentale deformati dalle passioni esterne;
un viso duro divorato da un dolore inalienabile e senza un motivo apparente ma che nel suo profondo in quanto essere spera ancora in una possibile ancora di salvezza: gli affetti.
Negli occhi, riflesso dell’animo e del mondo possiamo trovare il vuoto, l’angoscia, il sangue, l’urlo, la morte, la terra vorace, la solitudine.
Attraverso le opere pittoriche come Pavese nei Dialoghi si va alla ricerca di una simbologia inconscia e dei tramiti in cui poteva-puo avverarsi il passaggio del proprio “caso” personale dal proprio “orrore” di esistere al mito sottostante, all’immenso, brulicante naturalità degli archetipi. Un viaggio di catarsi ed espiazione iniziato ma non ancora compiuto, pertanto da verificare.
Quali i soggetti?
Si è citato ed in parte parlato dei ricordi (composti da persone, luoghi vissuti o visitati); il paese natio che accomuna il destino dei piccoli borghi montani –scheletri arroccati dagli occhi piccoli e neri- messi a dura prova dalle intemperie e schiaffeggiati dai suoi stessi eredi-abitanti, i pochi che rimangono superstiti di una guerra silenziosa come fantasmi; i volti, a volte veri ritratti di gente comune, per il resto immagine simbolica dell’esistenza; gli alberi, non un determinato tipo o genere ma anch’esso come detto in precedenza rappresentazione simbolica dell’esistenza-uomo; ed infine la montagna come catarsi, espiazione, lotta, trasformazione del se-io.
Ma qual’è il fine, di certo non l’annullamento come è avvenuto con Cesare Pavese, o lo si spera, ciò dipenderà anche dall’evolversi della vita stessa e di quanti semi verranno posti in essere oggi o che sono stati già seminati, in base alla legge di causa ed effetto.
Il fine dovrebbe essere l’affermazione della vita, dell’essere qui oggi, dell’istante vitale a cui ci è dato partecipare ma che allo stesso tempo al solo pensare, o solo sfiorare percepire la miracolosità dell’infinito spirito, ci fa rabbrividire atterrire quasi impazzire del -non esserci.
Si tratta di costruire nella mente, nel cuore e nello spirito vitale l’immagine, la sequenza di quello che rimarrà del chi sono e che cosa voglio essere e realizzare; dipingendo immagini già dipinte nel cuore e nella mente si avrà la realizzazione del mio essere e dell’esserci stato in un determinato tempo e spazio senza inizio e fine.