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Recensioni

Recensione di Domenica Giaco - Il pane della vita

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11 Aprile 2018

Molte meraviglie sono al mondo, nessuna meraviglia è pari all'uomo" (Sofocle, Antigone, primo stasimo)

L'uomo, essere di perfezione. Armonioso, simmetrico, così equilibrato nella sua dinamica corporea, ha nell'essere psichico una sua vulnerabilità. Il vulnus infatti è un difetto della perfezione. Se l'uomo è per Protagora misura di tutte le cose, per Sofocle è il déinon: mirabile, portentoso, stupendo,  prodigioso, ingegnoso, ma anche terribile, misterioso, tremendo. Quasi un daimon, sorta di angelo incompiuto, diviso tra lo spirito e la materia.
"Il daimon può far ammalare il corpo. E' incapace di adattarsi al tempo, nel flusso della vita trova errori, salti, nodi. Ed è lì che preferisce stare. (James Illman, "Il codice dell'anima").
Chi sono? Che senso ha questa mia esistenza? Qual è la mia direzione?
Sono questi gli interrogativi che danno origine al dramma esistenziale umano. Dal momento che l'uomo non solo sa, ma sa di sapere, e con il sapere, perdendo la sua immediatezza, perviene a una dimensione simbolica e culturale che lo apre al dubbio, alla ricerca. Un logorio della mente, in una condizione di perenne inquietudine, fino all'angoscia. Pur avendo il dono della vita, è un essere che si sente annichilito dalla vita stessa, soprattutto nel mondo occidentale, dove la tendenza a tracciare schemi, cercare simboli, trovare ad ogni costo un senso, genera una costante tensione alla chiarezza, al ragionamento, alla definizione di ogni cosa, che rivela infine un atteggiamento teso a distinguere piuttosto che ad unire.
"Sunt lacrimae rerum et mentem mortalia tangunt - Queste sono le lacrime delle cose e la mortalità ci taglia fino al cuore" (Virgilio, primo libro dell'Eneide)
E' la consapevolezza della caducità che accompagna l'intera storia dell'uomo. Così straziante oggi, in un mondo contemporaneo in cambiamento e  in trasformazione.

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Recensione di Federica Vettori - Il pane della vita

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11 Aprile 2018

Non vi è un contesto né una ambientazione definita, non c’è uno spazio misurabile a fare da contenitore alle presenze – corpi, oggetti, simboli – ma sono queste a costruire da sé una spazialità, a definire i piani della visione, a condurre la lettura nelle opere grafiche di Daniela Savini. Le incisioni che la giovane artista presenta in occasione di questa mostra raccontano la personale evoluzione sentimentale e tecnica, il confronto con una lingua di forme, di segni, di toni, che matura prova su prova, piegata dall’indagine e modellata sulla ricerca, sulla propria via di impressioni e contenuti, di estetiche e di messaggi. È questa presenza di corpi, tradotta in forma di gesti, di sguardi, di posture, a condensare il nodo degli interrogativi dell’artista. Sono questioni intime, sono profondi dibattiti interiori a manifestarsi nei personaggi delle opere di Savini, resi con un delicato uso della tecnica della puntasecca, la maniera grafica preferita dall’artista e in grado di rendere un modellato morbido e vellutato, di minimi trapassi chiaroscurali.

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Recensione Dir. L. O. Tamassia - L'Archivio Inciso

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11 Maggio 2017

Ispirata dall’Archivio

Daniela Savini, classe 1975, originaria di Teramo, da molti anni vive nel Mantovano con la famiglia. Nell’ambito del suo percorso formativo ha incrociato la realtà dell’Archivio di Stato di Mantova a partire dal 2005.

Da funzionario della sala di studio la conobbi mentre era alle prese con la sua tesi di laurea, conseguita a Parma con il professor Arturo Calzona, sulla committenza della tribuna della Santissima Annunziata di Firenze, nel cuore del XV secolo: studentessa dai modi dolci e apparentemente remissivi, si è rivelata particolarmente tenace e determinata nel perseguire il proprio percorso di ricerca. Percorso che, come talvolta accade nelle persone più sensibili e dotate che frequentano la nostra sala di studio, si è trasformato in un viaggio di maturazione e crescita interiore.

Come lei stessa ci rivela, l’esperienza della ricerca storica, con il suo portato di scoperte, nuove letture ed al contempo inevitabili difficoltà, incomprensioni e frustrazioni, si è tramutato in un lavoro di scavo nel proprio io, alla ricerca di un sé temporaneamente smarrito.

La magia dell’archivio si è così nuovamente manifestata: ripercorrendo le vite e le sorti di altri individui, attraverso il mare delle carte solcate dalle scie lasciate dai pennini, è stato possibile sprofondare dolcemente nell’essenza del proprio essere, in un’esperienza liberatoria e vivificatrice.

Una sorta di percorso analitico autogestito, privo di controindicazioni, perché condotto dal ricercatore fino al punto in cui egli stesso vuole arrivare, con la possibilità di abbandonare il viaggio, o di fermarsi alla semplice ricostruzione storica dei fatti e dei personaggi indagati. Salvo invece arrivare a scoprire le assonanze tra le azioni, le passioni, le motivazioni e i sentimenti di uomini e donne d’altri tempi con il proprio vissuto, in un processo scientifico e catartico al tempo stesso, di analisi e sintesi, ed infine di ricomposizione, per attingere alla parte più intima e sconosciuta del proprio essere.

Questo penso sia successo a Daniela, e questa la ragione del suo omaggio all’Archivio di Stato con la serie di incisioni ispirate alle immagini dei depositi storici.

Anche la tecnica adottata dall’artista consuona con la manoscrittura dei documenti: la puntasecca, come uno strumento grafico, percorre la superficie della lastra incidendovi i tratti.

Il gesto della mano ripercorre minuziosamente ogni particolare dell’immagine, penetrandone consapevolmente ogni minimo dettaglio, ma le barbe ai bordi del solco non vengono eliminati, generando nella fase di impressione la caratteristica resa chiaroscurale.

Il viaggio fisico attraverso l’edificio dell’Archivio di Stato, con i particolari delle grandi finestre ad archi a tutto sesto, delle scale a chiocciola e degli ombrosi scaffali, attraverso la resa dell’incisione, che è al tempo stesso analitica ed evocativa, si traduce in un percorso simbolico denso di rimandi. Tra rigorose geometrie, sature ombre e giochi di luce, l’artista ripercorre il suo viaggio nel tempo e nella memoria, ritrovando l’essenza del proprio vissuto.

Luisa Onesta Tamassia

Direttrice Archivio di Stato di Mantova

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